Mamma Lucia: la madre di tutti i soldati
Nel cuore di Sant’Arcangelo, frazione collinare di Cava de’ Tirreni, una statua in bronzo veglia silenziosa sulla piazzetta centrale. Raffigura una donna semplice ma determinata, conosciuta da tutti con il nome di Mamma Lucia.
Nata qui nel 1887, Maria Lucia Pisapia, poi sposata Apicella, è diventata simbolo di misericordia cristiana per il suo impegno instancabile nel dare degna sepoltura a centinaia di soldati caduti durante lo sbarco alleato a Salerno e i successivi combattimenti, in particolare giovani tedeschi.
L’Amministrazione comunale le ha recentemente intitolato la piazza, riconoscendo il valore umano e civile di una donna che ha saputo andare oltre le divisioni del conflitto. Il soprannome “Mamma Lucia” le fu dato per l’affetto con cui si prendeva cura dei corpi dimenticati dei soldati, trattandoli come fossero tutti suoi figli. Lo stesso appellativo la rese celebre anche oltre i confini italiani, tanto da essere ricevuta in udienza privata da tre Papi: Pio XII, Giovanni XXIII e Paolo VI.
Nonostante l’umiltà, Lucia colpiva per la sua forza morale e il carisma naturale. Lo scrittore Giuseppe Marotta, che la incontrò nel 1952, ne colse lo spirito deciso e narrativo, raccontato anche in un aneddoto emblematico: quando, non trovando un sacco, sfilò la sottoveste per raccogliere i resti di un caduto.
Le sue imprese iniziarono a essere raccontate dal canonico Giuseppe Trezza sulle pagine del periodico “Il Castello”. Fu lui a darle voce, supportandola nella corrispondenza con autorità e famiglie di soldati, spesso scrivendo lettere in loro nome. Anche l’allora sindaco di Cava, Gaetano Avigliano, e il vescovo Francesco Marchesani sostennero la sua opera.
Ogni giorno Mamma Lucia partiva alla ricerca di corpi nei boschi e nelle campagne di tutto il Salernitano: da Monte Castello a Montoro, da Polla a Montecorvino Rovella. Spesso agiva senza autorizzazione, esponendosi a pericoli e ostilità, acquistando a sue spese le urne di zinco in cui raccoglieva i resti, talvolta sottraendo i soldi dal negozio di famiglia. Nella chiesetta di San Giacomo, all’ingresso di Borgo Scacciaventi, allineava ordinatamente le cassette con le salme recuperate, recitando ogni giorno il rosario insieme ad altre donne devote.
Le immagini di lei – mentre dissotterra con una zappetta un caduto, mentre prega inginocchiata in un prato, o mentre consegna a una famiglia tedesca l’orologio di un figlio perduto – fecero il giro del mondo. Il tenore Beniamino Gigli le dedicò perfino una toccante esecuzione della canzone “Mamma” sul palco del Teatro San Carlo.
Nel corso della sua vita ricevette numerosi riconoscimenti, tra cui il Premio Angelo Motta per la Bontà, la medaglia d’oro del Comune di Roma, la cittadinanza onoraria di Salerno e il titolo di Commendatore al Merito della Repubblica. Dalla Germania le arrivò il “Collare della Croce al Merito”, conferitole dal presidente Theodor Heuss.
Lucia era rimasta orfana di madre a due anni e crebbe in una famiglia numerosa. Sin da giovane, tra un turno al telaio e le scuole elementari, mostrò una naturale inclinazione ad assistere i malati. Da questa vocazione nacque il suo impegno più grande: dare sepoltura ai soldati che la guerra aveva lasciato senza nome e senza pace. Per lei non erano nemici, ma figli di madri lontane, fratelli da restituire alla dignità.
Ogni mattina usciva dalla sua casa in via Rosario Senatore con una grande chiave di ferro per aprire le porte della chiesetta dove riposavano i “suoi figli”. Salutava tutti con un “Pace e bene”, e i bambini le correvano incontro chiamandola per nome. Poco prima di morire, trent’anni fa, chiese di essere sepolta con una piccola urna contenente i resti di un soldato sconosciuto, che aveva tenuto per anni in casa come fosse suo.
Il suo ultimo desiderio, mai realizzato, era quello di vedere costruito a Cava un grande ossario in cui raccogliere le spoglie dei caduti. Ma la sua memoria vive ancora, esempio di carità, pace e umanità oltre ogni confine.